“L’autografo dell’assassino”

Christine Moon e James Mars erano nel laboratorio di New York a discutere di un caso che riguardava un truffatore. A James, casi di questo genere, lo annoiavano a morire. Improvvisamente il telefono squillò e, dopo una breve conversazione, Christine annunciò quello che il criminalista voleva sentire: era stato trovato un cadavere nel vicolo della Fifth Avenue; quindi il caso del truffatore era sospeso. Bussarono alla porta: era il tecnico del laboratorio, Edward Shey, che aiutava i due detective nei loro casi. Dopodiché Moon prese la sua borsetta, il kit per analizzare la scena e uscì. Quando arrivò vide il corpo senza vita di un uomo che Christine ricordava di aver già conosciuto. Cercò di rammentare, ma niente. Si concentrò sulla scena, indossò la tuta di tyvek e iniziò ad analizzarla. Come insegnatole da James, che sull’argomento aveva scritto anche un libro, per analizzare un luogo bisognava percorrere la griglia. Si trattava di eseguire l’analisi del territorio più volte, scoprendo ogni millimetro quadrato che poteva fornire indizi. Mentre svolgeva il suo lavoro, una cosa in particolare la colpì: accanto alla vittima c’era una rosa; una rosa di un colore innaturale, scurissimo. Accanto c’era un biglietto scritto al computer che diceva: “Tutti siamo nati per morire, già nella culla il momento della condanna è deciso” La Rosa Nera. “Wow” pensò la detective “è orribile!”, osservò disgustata riferendosi al cadavere. Era disteso di fianco, col volto paonazzo e una lunga corda stretta intorno al collo. Aveva del sangue sotto le unghie, segno che aveva lottato. Era una scena orripilante, anche se Christine ne aveva viste di peggiori. Secondo il medico legale di turno, basandosi su un esame generico e frettoloso, sarebbe deceduto da poco più di un’ora, ovvero tra le 5:05 e le 5:25. Raccolti tutti gli indizi e scattate le foto del luogo del delitto, entrò in macchina e si diresse al laboratorio per mostrare tutto ai colleghi. Intanto pensava al volto di quell’uomo, sicura di averlo già visto. Quando arrivò esaminò gli indizi anche se, come sempre, erano pochi e, apparentemente, di scarsa utilità. Shey, innanzitutto, scoprì l’identità della vittima: si trattava di un certo Theodore Adams. Non appena Christine sentì quel nome, si ricordò dove l’avesse già visto. Era un ex agente di pattuglia che lavorava con suo padre. Era una brava persona, usciva spesso con la sua famiglia, era sempre sorridente e di buon umore. Un giorno ebbe uno spiacevole incidente: mentre era di servizio fu sparato alla gamba nel corso di una rapina. Dopo quel giorno abbandonò la polizia e si dedicò ad altro. Purtroppo, essendo già sulla cinquantina, riuscì a trovare lavoro solo come impiegato. Conduceva una vita tranquilla, con una moglie affettuosa e due splendidi bambini che la detective aveva conosciuto. Le dispiacque molto vederlo morto. Le era simpatico. Come da loro abitudine trascrissero tutte le informazioni a loro disposizione su un tabellone, in modo tale da avere un quadro completo della situazione.

ASSASSINIO DI THEODORE ADAMS

Informazioni sulla vittima:

-Adams, 54 anni, morto per strangolamento

-Ex agente di pattuglia, lascia la polizia in seguito ad una sparatoria in cui rimase ferito

-Dopo aver lasciato la centrale trova lavoro come impiegato

-Lascia moglie e 2 figli

Indizi trovati sulla scena (vicolo della Fifth Avenue):

-Fibre di corda (corrispondenti a quella trovata sulla scena)

-Muffa “Neurospora Crassa” (di solito usata come organismo modello in esperimenti di biologia)

-Sangue e resti di pelle non appartenenti a vittima

-Impronta di scarpa sportiva da donna numero 37, marca “Converse” (probabilmente appartenente ad assassino)

-Biglietto scritto al computer (carta generica e irrintracciabile) accompagnato da insolita rosa nera

Testo biglietto:

“Tutti siamo nati per morire,

già nella culla il momento della condanna è deciso”

La Rosa Nera

Profilo della “Rosa Nera”:

-Presumibilmente donna

-Abita o lavora in prossimità di luoghi umidi o di laboratori di biologia

-Si presume indossi scarpe “Converse” numero 37

-Potrebbe riportare ferite su parti del corpo

-Dovrebbe essere una donna alquanto robusta e forte per poter strangolare un uomo

Questo è tutto ciò che avevano.

“E ora? Qual è la pista da seguire?” domandò Shey sconcertato.

“Semplice, setacciamo il laboratorio di biologia di Brooklyn (ovvero la One Lab School For Urban Ecology con sede il Metropolitan Exchange di Brooklyn) e gli edifici circostanti. Poi perquisiamo tutte le donne che vi abitano o lavorino o che ci sembrino sospette.” Rispose in tono tranquillo e autoritario Mars. Come se fosse ovvio.

Chiamarono il comandante delle squadre tattiche, Joe Malloy, il quale da sempre li aveva aiutati nelle operazioni di irruzione, si procurarono il mandato per analizzare il laboratorio e si misero al lavoro.

Dopo accurate ricerche, scoprirono sul pavimento delle impronte delle stesse scarpe della scena. “Potrebbe essere una vostra dipendente?” chiese Moon rivolgendosi al capo delle ricerche, descrivendogli in modo approssimativo la donna.

“Beh, si. Potrebbe.” annunciò l’uomo. “In questo momento tutte le donne che lavorano qui sono in pausa. Mi segua agente.” E le fece strada fino alla stanza.

“Grazie dottore, è stato molto gentile” lo ringraziò ed entrò.

La poliziotta sapeva che in questi casi gli interrogatori erano molto complicati, così aveva chiamato un’esperta di cinesica, Kathryn Dance, specializzata nella conoscenza del linguaggio del corpo. Divisero le sospettate in due gruppi: da una parte le donne magre e gracili (che furono interrogate da Christine), e dall’altra quelle più robuste, che erano solo due (interrogate dall’agente Dance). Interrogò la prima: Claire Smith, tutto liscio. Niente precedenti, buona famiglia e non mentì su niente. Passò alla seconda: Lucy Richter, la quale aveva una grossa sciarpa, il che la insospettì. “Bene signorina Richter, dove si trovava esattamente ieri tra le 5:05 e le 5:25?”

“Ieri sono andata a correre tutto il pomeriggio, a Central Park. Ero sola, nessuno può avermi vista.” dichiarò la donna.

Mentre lo diceva, Kathryn notò che incurvò la schiena (segno di difesa) e arricciò le labbra (che significava insicurezza). Questi erano segni che stava mentendo. Evidentemente non si aspettava che i poliziotti sarebbero riusciti a risalire al laboratorio, e di conseguenza a lei.

“Mi dica, conosceva un certo Theodore Adams?” chiese Dance.

“No, mai sentito nominare!” rispose. Lo fece in modo così veloce che l’agente capì che si aspettava la domanda, e che quindi era stata lei. Per essere più sicura si avvicinò a Lucy e le strappò bruscamente la sciarpa, mostrando ferite e graffi. Avevano analizzato il DNA di tutte le lavoratrici presenti e quello trovato sulla scena corrispondeva al suo. Immediatamente una squadra la immobilizzò, e la portò in centrale, dove venne denunciata per omicidio.

In un secondo momento Kathryn le fece ulteriori domande.

“Signorina Richter, vorrebbe raccontarci il motivo dell’assassinio?” domandò.

Un po’ controvoglia Lucy rispose: “Volete la verità? Sono stata ingaggiata per farlo. Sono un “Killer” come dite voi, ma io preferisco definirmi una giustiziera. Mi piace punire le persone che lo meritano. Jade Dellray. Era la sorella del’uomo che fu ucciso da Adams nel corso di quella sparatoria. Voleva vendicarsi e desiderava vedere morto quel poliziotto.” dichiarò.

Kathryn si accorse che non mentiva. La ringraziò per il suo contributo, la salutò e chamò Christine per rintracciare la signora Dellray, di cui l’indirizzo fu fornito da Lucy.

Organizzarono una squadra tattica e fecero irruzione nell’appartamento di Jade e l’arrestarono.

Mars, Moon, Shey e Dance erano molto soddisfatti per il loro lavoro. Per degli agenti catturare un criminale era la più grande soddisfazione che si potesse ricevere.

Per dare un tocco di classe alla faccenda, la giovane Christine, ottenne il permesso di introdurre nella cella dell’assassina un’innaturale e scurissima rosa nera.

Martina Pellecchia 2F